Costruire un’identità da Coach

La nostra Scuola si chiama ID Coaching School e già nel nome è visibile quello che per noi è un elemento chiave: integrare un’identità da Coach che va oltre la mera acquisizione di nuove tecniche.
Vuol dire allenarsi per sviluppare in se nuove competenze che aiuteranno ad essere un Coach piuttosto che limitarci a mettere un “cappello” legato al fare qualche cosa.
Ognuno di noi ha qualcosa da raccontare riguardo questa storia.
Identità che nel corso della vita abbiamo integrato, fatto nostre, che hanno cambiato il modo in cui ci manifestiamo nell’ambiente.
Quando circa 15 anni fa mi orientavo alla ricerca di una scuola di Coaching per formarmi ero molto diverso da come sono oggi, ero uno come tanti poco soddisfatto e annoiato della propria professione in cerca di “altro”.
Chiaro che non tutti individuano in questo “altro” un percorso per diventare Coach. Evidentemente c’era un seme. Tutti noi abbiamo un seme che aspetta di essere alimentato, messo a terra, nutrito con acqua, sole, energia.
Il seme di una nuova identità che è lì pronto a fiorire per iniziare a raccontare una nuova storia del nostro essere.
Per me il seme da sviluppare era quindi l’identità di coach. Avevo bisogno di un terreno fertile, di acqua, di sole…
Iniziai il mio viaggio con tanti percorsi per approfondire e lavorare su di me.
Ho incontrato molti stili diversi nel proporsi come Coach.
Ho visto Coach che si vendono come super-perfetti e infallibili che con grande carisma creano una schiera di fedeli che sono più interessati a frequentare dei corsi piuttosto che ad applicarli nella vita per costruire qualcosa di solido e duraturo.
Ho imparato qualcosa anche da loro e per un periodo, frequentavo corsi ed applicavo poco nella vita.
Poi ho trovato il mio terreno fertile: l’allenamento dell’Intelligenza Emotiva proposto da Six Seconds, organizzazione leader a livello mondiale sullo sviluppo pratico di queste competenze.
Rimasi innanzitutto affascinato dalla genialità con cui è stato strutturato il modello di allenamento, rendendo un costrutto complesso come l’Intelligenza Emotiva qualcosa di allenabile e fruibile da tutti, dal bambino delle elementari al manager d’azienda, e lavorandoci ho toccato con mano la potenza del metodo.
Altro aspetto è stato trovare un approccio umile nelle persone di Six Seconds con cui mi sono formato e con cui ho percepito da subito e sempre più nel tempo una grande affinità valoriale.
Anche il Coach è sempre in allenamento.
Anche il più affermato dei trainer potrà dimenticarsi di mettere in campo un comportamento emotivamente intelligente e dal suo errore avrà spunti per insegnare ancora meglio, portandosi anche come esempio di fallibilità, dando spazio alle sue emozioni in modo veritiero, semplice e genuino.
E con il terreno fertile il seme ha iniziato a germogliare e dare piante e frutti.
Un frutto importante è che nel corso del viaggio, senza rendermene conto, stavo cambiando. Cambiava il mio rapporto con me stesso, con la natura, con il mondo esterno e con gli altri. Stavo davvero manifestando una nuova identità e integrando le coaching skills e l’intelligenza emotiva nella mia vita.
Iniziavo ad accorgermi dei miei automatismi e correggevo il tiro creandone con l’allenamento di nuovi, più funzionali ai miei obiettivi.
Relazionandomi con gli altri, nella vita di tutti i giorni, mi accorgevo del potere dell’ascolto e delle domande, anche se, usandole in eccesso e quando non richieste qualcuno mi diceva: “Ecco Marzullo!”… anche lì c’era qualcosa da imparare.
Credo che nell’identità di Coach sia insito il concetto di apprendimento continuo, ed è il bello del viaggio, camminare sapendo che ogni esperienza porta un dono se ci predisponiamo ad imparare da essa.
Oggi sono Program Manager di Six Seconds, Trainer, Coach e Consulente con Evolve Consulting (ex CoachUrself) e fondatore e docente/coach della ID Academy Coaching School.
Non a caso nella nostra Scuola abbiamo creato una sinergia con Six Seconds, integrando l’Intelligenza Emotiva nel percorso, riconoscendone la centralità nell’aiutare le persone a cogliere la differenza tra fare il Coach ed essere Coach.
Se andassi indietro nel tempo a raccontare alla mia controparte più giovane, a quel ragazzo annoiato del suo lavoro di 15 anni fa dei risultati raggiunti non penso riuscirebbe a crederci. Aveva paura di parlare in pubblico, pieno di insicurezze…Non avrebbe mai pensato di poter cambiare così radicalmente.
Eppure il seme era già dentro di lui, attratto da temi di crescita personale, dal volersi mettere in gioco, alla ricerca di un approccio più umile e meno al servizio dell’ego.
Capacità che già aveva come potenziale e che sottovalutava.
Ed ecco qualche domanda da Coach:
– Quali capacità abbiamo di cui non ci rendiamo conto?
– Quale può essere il terreno fertile che attende il nostro potenziale in modo da permettergli di germogliare e dare dei frutti?
– Quali frutti ci piacerebbe cogliere?
Sappiamo che i frutti sono deliziosi ma non saziano mai definitivamente, il bello è sapere che il viaggio prosegue. Non mancheranno le sfide così come nuove opportunità e tante occasioni per crescere e migliorarsi.
Posso dire che nel cammino oltre ad un terreno fertile, a tanta acqua, un elemento che ha fatto grande differenza è stato un “sole”.
Un’apertura verso la parte più intima, spirituale, che mi ha aiutato ad integrare tutto il resto e che mi ha portato a cogliere che la vera essenza dell’Identità di Coach, che aiuta a ridurre il fattore ego presente in tutti noi è una sola.
Mettere la propria Identità al servizio di qualcosa di più grande. Ognuno secondo la propria utilità.
E il Coaching diventa magia. Il viaggio diventa magia. La nostra vita diventa magia.
Cambiare noi stessi per diventare un veicolo di cambiamento per gli altri, con un approccio umile, tenendo sempre i piedi per terra…in un terreno fertile!
di Manuel Caviglia
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